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Il quotidiano La Stampa ha seguito il caso Stamina con particolare attenzione, con grande professionalità e dopo aver raccontato la cronaca, raccolto pareri dalle parti in causa, tramite il suo direttore è arrivato ad un punto di giudizio.
L’editoriale a firma del direttore, pubblicato oggi dal quotidiano torinese, è quanto di più definitivo un organo di informazione possa esprimere.
Sul caso Stamina saranno gli esperti della commissione ministeriale a dare un verdetto definitivo, anche se la comunità scientifica esperta di cellule staminali ha espresso abbondantemente la sua opinione. E’ giusto che ci sia un pronunciamento definitivo. Ma il punto nodale di tutta la questione viene ancora prima.
Per questo proponiamo qui di seguito alcuni brani dell’editoriale di Mario Calabresi, direttore de La Stampa, perché chiarisce che al di là delle opinioni personali, a dettare il passo del progresso debba essere la competenza certificata.
“E’ qui la battaglia decisiva da condurre – commenta Luana Piroli, presidente della Fondazione InScientiaFides e direttore generale dell’omonima biobanca – e mi permetto di dire, non solo nel mondo della sanità. Se l’Italia ha ancora un briciolo di speranza di tornare ad essere un Paese di riferimento, deve consegnarsi alle persone competenti più che a quelle convincenti. Ognuno è libero di esprimere pareri, giudizi, di prendere posizioni e di cercare alleati intorno al proprio pensiero. Ma a decidere siano i competenti, quelli che hanno speso una vita per studiare, sperimentare, condividere, divulgare il sapere. Leggo questo nell’editoriale di Calabresi, al quale rivolgo il mio apprezzamento totale”.
Il coraggio di fidarsi dei competenti
MARIO CALABRESI, DIRETTORE QUOTIDIANO LA STAMPA

Ogni giorno che passa la storia del metodo Stamina si fa sempre più inquietante, non solo per i retroscena che ormai da dieci giorni vi raccontiamo e che mostrano un’idea della medicina molto più simile all’azzardo che alla scienza, ma anche per il livello a cui è scaduto il dibattito pubblico italiano. L’ultima parola, anche quando si tratta di decidere se una cura è efficace o inutile o pericolosa, sembra dover spettare non ai ricercatori e ai medici ma all’uomo della strada e ai giudici. Ognuno pensa di poter dire la sua e il fin troppo noto Tar del Lazio ormai stabilisce chi e come si debba curare e anche la composizione (in stile manuale Cencelli) delle commissioni scientifiche di valutazione.
Sarebbe tempo che giornalisti, comici, intrattenitori televisivi, esperti improvvisati e giudici si facessero da parte per lasciar parlare chi ne ha conquistato il diritto con una vita di studio e di risultati tangibili.
Da parte nostra possiamo solo continuare a raccontare tutto quello che finora è stato nascosto e dare voce alle persone più serie e credibili che ci sono in circolazione.
E’ un lavoro delicato, da fare con il massimo dell’attenzione, che non solo ci mostra ancora una volta quanto i malati possano essere preda di personaggi senza scrupoli ma che è anche illuminante – come hanno ben spiegato il professor Orsina e la ricercatrice Elena Cattaneo – della confusione dell’Italia di oggi.
Viviamo in un Paese in cui la politica e le Istituzioni sono deboli e in cui la sfiducia la fa da padrona: tutto questo crea un terreno favorevole alle incursioni di millantatori e ciarlatani di ogni genere che usano internet e le televisioni come megafono.
Ma partiamo dall’inizio: chiunque abbia una persona cara affetta da una malattia incurabile o degenerativa sa con quanta attenzione si sia portati a guardare a ogni novità scientifica, conosce l’emozione e la speranza che può ingenerare anche una sola riga di giornale o la frase di un medico. Ma sa anche, per esperienza e per testimonianza diretta, che i miracoli sono merce assai rara e che la scienza procede con una velocità che purtroppo non coincide con i nostri bisogni e i nostri desideri.
Bisogna avere grande rispetto per i malati e per i loro amici e familiari, ma rispettare una persona significa innanzitutto non prenderla in giro, non approfittare della sua sofferenza, non speculare sul suo dolore e sulla sua pena. Rispetto significa avere il coraggio della verità ed è colpevole lasciar agire in modo indisturbato profittatori e falsi guaritori. Si può pensare di girare la testa dall’altra parte, per non esporsi e per non dover scrivere cose che deluderanno speranze, ma tutto ciò è dolorosamente complice.
Sono convinto invece che compito di un giornale, in tempi di caos informativo e di derive emozionali, sia quello di approfondire e spiegare, ma soprattutto quello di cercare punti fermi senza inseguire sensazionalismi. Non bisogna mettere da parte la razionalità e la ragione perché si è offuscati dall’emozione della richiesta di aiuto di un malato, soprattutto se quell’implorazione di essere curato viene da un bambino o dai suoi genitori, perché questo non sarebbe di nessun aiuto.
E’ necessario invece partire dai dati: nelle cartelle cliniche dei 36 pazienti sottoposti al metodo Stamina presso gli Spedali di Brescia, non si troverebbe – come abbiamo anticipato dieci giorni fa – alcuna traccia di miglioramento, così come nella relazione finale del comitato degli esperti si evidenziava, tra l’altro, che nelle infusioni somministrate ai pazienti di cellule staminali se ne vedono a malapena delle tracce. Per non parlare degli inquietanti e sciacalleschi scambi di mail che stanno emergendo, dai quali si capisce come i promotori del metodo non si facessero scrupoli a usare la sofferenza dei pazienti come arma di ricatto.
Di fronte a questi comportamenti, che crescono oltre misura nell’ignoranza, bisogna avere il coraggio di chiedere insistentemente lumi ai nostri migliori medici e ai nostri ricercatori più illustri, quelli che fino ad oggi hanno dimostrato di saper fare la differenza, di aver portato avanti protocolli capaci di curare.
Il ruolo dell’informazione deve essere di tornare a ricordare che l’esperienza conta e che le opinioni non sono tutte uguali: perché esiste ancora una differenza tra chi ha studiato una vita e ha realmente guarito dei pazienti e chi invece non ha mai aperto un libro o passato una notte in laboratorio e che con i soldi della ricerca si è comprato una Porsche. L’ultimo parere trovato su internet, per quanto affascinante o originale, non può avere lo stesso valore di quello di uno scienziato che si dedica al tema da decenni. Alla fine la domanda è semplice ed è quella che pone su queste pagine oggi il professor Paolo Bianco: ma voi vi fareste operare al cervello da un archeologo? E – aggiungo io – prima di salire in montagna chiedete consiglio alle persone del posto e alle guide o a un camionista di passaggio o a una velina che prende il sole?
Impariamo a guardarci dagli esperti improvvisati e dai venditori di fumo e non dimentichiamo una cosa fondamentale: i fondi per la ricerca e la cura non sono infiniti, regalarli ai ciarlatani e ai truffatori significa toglierli a chi invece sta portando avanti un percorso serio capace davvero di guarire. E questa è una condanna anche per chi potrebbe essere curato.

Fonte: Ufficio Stampa InScientiaFides

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