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Parla italiano il primo studio su come le cellule staminali possono curare l’uomo

18 Dicembre 2014
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Dove vanno, come si comportano, quanto sopravvivono le cellule staminali introdotte in un organismo. Queste risposte, determinanti per ottimizzarne l’utilizzo nella cura di malattie importanti, le ha date una ricerca condotta dal Tiget, Istituto Telethon per la terapia genica, nato dalla collaborazione tra l’Istituto Scientifico San Raffaele e la Fondazione Telethon.
Si è scoperto che le cellule staminali assumono una sorta di marchio quando vengono modificate nel Dna per essere utilizzate come terapia genica.

Come riportano diversi organi di stampa, tra i quali ADN Kronos, tali conclusioni sono state illustrate al 56° congresso della Società americana di ematologia (Ash) svoltosi a San Francisco al quale hanno partecipato 20mila operatori da tutto il mondo. Lo studio rientra nei sei migliori, tra 6500 presentati, discussi in sessione plenaria dell’assemblea.
A spiegarlo è stato lo scienziato 36enne Luca Biasco: “Il contesto che ci ha permesso di condurre questo studio è quello della terapia genica avviata quasi 20 anni fa sui malati di Ada-Scid”, i bambini privi delle difese immunitarie necessarie per combattere anche un semplice raffreddore. Un tempo condannati a vivere in un ambiente completamente sterile, oggi guariti grazie a una tecnica messa a punto dal Tiget nel 2002.

“Da allora ne sono stati curati 16 – continua Biasco – e la metodica è stata applicata con successo anche alla sindrome di Wiskott-Aldrich (sette bimbi trattati) e alla leucodistrofia metacromatica (una decina). In pratica, si prelevano le staminali ematopoietiche del paziente, si modificano inserendo la versione corretta del gene sbagliato veicolata da un virus reso innocuo (quello che funziona meglio è l’Hiv), e si reinfondono nel malato. In questo modo abbiamo avuto a disposizione un modello per studiare il comportamento di queste cellule in vivo, nell’uomo”.

Finora questo tipo di ricerca era stata possibile solo nel topo. Al Tiget diretto da Luigi Naldini, il team di Alessandro Aiuti, coordinatore clinico della sperimentazione sulla terapia genica, di cui Biasco fa parte, ha condotto per la prima volta questo tipo di studi su quattro pazienti con sindrome di Wiskott-Aldrich e quattro con leucodistrofia metacromatica. “Il punto è – premette Biasco – che quando le staminali del malato vengono corrette in cellule ‘ogm’, “e poi reinfuse a milioni, il gene terapeutico va a integrarsi nel genoma in un punto diverso da cellula a cellula. Un passaggio determinante, perché a seconda di dove il gene si incasella cambia il destino della staminale corretta e il suo effetto. Il sito di integrazione diventa quindi di per sé un segno distintivo: una sorta di codice a barre, in gergo un ‘tag molecolare’. Una bandiera che può essere sempre riconosciuta quando, attraverso prelievi periodici, si vanno a studiare le cellule del sangue del paziente”.

Questo segno permette di individuarle e di ricostruirne la storia. “Riuscirci è molto importante per tre motivi – sottolinea Biasco.- Primo per una ragione di sicurezza, per accertarci che queste staminali non degenerino in un tumore. Secondo per valutarne l’efficacia, ossia per capire se si sono riprodotte in una popolazione che resta stabile e quindi mantiene l’attività terapeutica. Terzo, ed è questo che più ha interessato la platea della sessione plenaria, perché così è possibile comprendere cosa succede dopo un trapianto di midollo osseo. Come cioè le staminali vanno a ricostituire il sistema ematopoietico del paziente, differenziandosi in cellule del sistema immunitario, o in globuli rossi o ancora in piastrine”.

“Lo stesso tipo di studio, simile a quello che in ecologia segue gli spostamenti, i comportamenti e la riproduzione degli animali – continua Biasco – l’abbiamo fatto con i linfociti T. Perché negli anni ’90 sui bambini con Ada-Scid la terapia genica era stata tentata non sulle staminali, ma direttamente sui linfociti. Non aveva funzionato però quei linfociti ‘taggati’ sono sopravvissuti, e anche a 10 anni di distanza abbiamo potuto ritrovarli e scoprire dove sono andati e cosa hanno fatto nel tempo. Questo lavoro sarà pubblicato all’inizio dell’anno ed è cruciale perché consente di studiare la biologia dei linfociti”.

“La sperimentazione sulla Ada-Scid si è chiusa – ricorda Biasco – Dopo il successo ottenuto, infatti, grazie a un accordo siglato con GlaxoSmithKline la correzione genetica delle staminali dei bimbi malati diventerà un ‘farmaco’ da distribuire in tutto il mondo”.
Va precisato che si tratta di un protocollo e potrà essere utilizzato solo nei centri ospedalieri con le competenze, l’esperienza e la tecnologia necessarie.

“Anche il vettore virale verrà prodotto in pochissimi centri super selezionati uno dei quali sarà MolMed, la società biotecnologica ‘gemmata’ dall’Irccs San Raffaele di Milano. “Ai centri ospedalieri – puntualizza lo scienziato – il virus navicella viene consegnato con il gene già all’interno. Saranno poi loro a occuparsi della correzione delle staminali del paziente, perché queste cellule vanno lavorate mentre sono fresche: si fa il prelievo, il malato resta in ospedale mentre le staminali vengono tenute in coltura con il virus per tre giorni, si reinfondono le cellule corrette e se tutto va bene in una settimana il trattamento è finito”.

“Anche i bambini con sindrome di Wiskott-Aldrich, come l’Ada-Scid una rara immunodeficienza primaria, dopo la terapia genica stanno procedendo tutti molto bene – aggiunge Biasco – . Quanto ai piccoli con leucodistrofia metacromatica, nei quali la terapia genica viene coordinata al Tiget da Alessandra Biffi, le cellule staminali corrette sono addirittura riuscite a ridurre le lesioni cerebrali causate dalla patologia. Si è visto che le staminali corrette e reinfuse, anche se sono cellule del sangue, migrano nel cervello dove riescono a correggere anche le cellule nervose. Ripulendo il tessuto dalle scorie che lo soffocano”.

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