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Dalle cellule staminali autologhe una cura per la Sindrome della Persona rigida

10 Settembre 2014
News

Il trapianto di cellule staminali autologhe (proprie) ha cambiato la vita a tre donne affette dalla Sindrome della persona rigida (SPS/Stiff Person Syndrome).
Secondo la notizia riportata dal sito www.pharmastar.it, a procedere nel trapianto sono stati i ricercatori dell’Ottawa Blood and Marrow Transplant Program che in questo modo hanno trattato questo raro disturbo neurologico che colpisce “i muscoli prossimali delle estremità superiori e inferiori così come i muscoli del tronco”, tanto che il malato non riesce quasi a piegare gambe e braccia, e assumono un’andatura rigida. A esserne colpite sono più le donne che gli uomini.

La causa va ricercata in modificazioni del sistema immunitario e da qui sono partiti i ricercatori che avevano come obiettivo di eliminare quello compromesso riattivandolo con cellule staminali del midollo osseo o da cellule staminali ematopoietiche.
L’autore dello studio, Christopher Bredeson, si legge nell’articolo, ha affermato che: “Con un po’ di fortuna il problema non dovrebbe ripresentarsi più. Nella peggiore delle ipotesi, quanto meno si regolerà il decorso della malattia all’indietro, eliminando la maggior parte delle cellule che causano il problema».

A sottoporsi alla procedura sono state prima due donne: alla prima era stata diagnostica la malattia a 48 anni oramai camminava come “un soldatino di stagno”, e l’altra era una trentenne.
Nella prima parte della procedura le pazienti sono state collegate a una macchina per recuperare le cellule utili a far ricrescere il midollo osseo. «Queste cellule staminali emopoietiche (CD-34-selected auto-HCST) sono state quindi conservate e congelate – spiega Bredeson -. Ai pazienti è stato somministrato un regime condizionante che ha compreso chemioterapia e anticorpi antilinfocitari per cercare di uccidere il sistema immunitario. Le cellule sono state quindi scongelate e reinfuse nelle due pazienti. Quando sono state reinfuse – continua Bredeson -, le pazienti stavano realmente sviluppando nuovamente il loro sistema immunitario da zero, come accade alla nascita». La vaccinazione è stata ripetuta dopo sei mesi.

La 48enne a sei mesi dal trapianto aveva ritrovato una mobilità normale, era tornato al lavoro e si dedicava persino a sci e ciclismo, e da oltre quattro anni non mostra più alcun sintomo della malattia. La trentenne, invece, ha avuto un decorso post trapianto un po’ più complicato ma ora ha ripreso a lavorare e da un anno non accusa sintomi.
Infine, il trapianto è stato eseguito su una terza donna i cui sintomi stanno scomparendo.

Nell’articolo si precisa che pur essendo tali risultati incoraggianti ancora non si sa se questi saranno definitivi e che resta un rischio di mortalità del 5%.

“La studio, la sperimentazione uniti al talento e alla dedizione dei ricercatori – commenta Luana Piroli, presidente della Fondazione InScientiaFides – hanno ridato un futuro migliore a tre donne la cui esistenza era stata stravolta dalla malattia. Per risultati come questi in tutto il mondo si continua a investire in ricerca, così come si propone di fare la Fondazione InScientiafides, impegnata non solo sul fronte degli studi ma anche nell’educazione sanitaria e nella diffusione delle informazioni affinché si sappia a che punto è giunta la conoscenza e chi si trova in uno stato di bisogno sappia a chi rivolgersi ricevendo la migliore assistenza possibile”.

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